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Le Prigioni di Denron

Mentre Alkerion avanzava deciso tra gli oscuri meandri della Prigione, decine e decine di creature, un tempo esseri umani, gli cedevano il passo. Tutte sapevano bene che, se avessero osato attaccare un Sacro Inquisitore della Luce, sarebbero state sconfitte. D’altra parte, per Alkerion era inutile sprecare energie contro quegli esseri, senza aver prima sconfitto il loro creatore.
Le Prigioni di Denron: un dedalo di lunghi corridoi, nei recessi del castello, tanto profondi da non far arrivare fin laggiù nemmeno un raggio di sole, e illuminati perciò dalla fioca luce di rade torce. A ogni corridoio, a ogni cella, l’odore acre della morte e del sangue: corpi incatenati, sfigurati da atroci torture, con i volti distorti dall’ultimo loro grido di dolore.
Alkerion, Sacro Inquisitore della Luce, procedeva con passo fermo e cadenzato, passando con lo sguardo da un volto all’altro e osservando bene ognuno di essi. Quei volti sembravano chiedere aiuto e sollievo da quelle catene, a lungo portate. Alkerion avanzava deciso, preparandosi alla battaglia con il suo nemico, loro guardiano, persecutore e aguzzino.

Tutto era iniziato poche settimane prima. Dopo un lungo viaggio, egli era arrivato a Denron, e, accolto con tutti i dovuti onori, si era stabilito nel monastero degli Urieliti. Essi erano un ordine di monaci votati alla contemplazione e alla ricerca della sapienza, rispettati da tutti per la loro saggezza e le loro conoscenze mediche. Ad Alkerion fu assegnata una cella che si apriva direttamente sul chiostro, nel quale venivano coltivate diverse erbe medicinali. Sistemò i suoi libri su una mensola, sopra la scrivania: i Sacri Testi, diversi studi di Demonologia, un trattato di strategia militare, il suo diario personale, dove annotava tutti i suoi incontri e i suoi pensieri. Ripose i suoi pochi vestiti in uno stipo, in un angolo della stanza, e la cassa contenente le sue sacre armi, temprate da diversi scontri, che sperava di non dover mai più usare. Appeso sopra il suo giaciglio, i Tre Cerchi concatenati e la stella a quattro punte, simbolo delle sette virtù cardinali: fede, carità, speranza, fortezza, temperanza, pazienza, giustizia. Un Inquisitore era spesso chiamato a esercitare una grande autorità, e solo la disciplina delle Sette Virtù ne permetteva un corretto uso.
Finito di sistemarsi, si occupò del motivo per cui era stato mandato in quel luogo.
Da un po’ di tempo a questa parte, gli riferì Gamdor, responsabile della sicurezza della città e di tutte le zone circostanti, nonché fidato braccio destro di Lord Samuel, signore di Denron; molti straccioni, vagabondi, mendicanti erano iniziati a sparire. Si trovavano spesso segni di colluttazione e macchie di sangue nei luoghi dove venivano avvistati per l’ultima volta. Gamdor parlava di questo argomento con freddezza: non gli interessava molto la sorte di quei disgraziati, reietti della società, e non era stato lui infatti a chiamare l’Inquisitore, ma Sertan, padre superiore dei monaci Urieliti. La cosa che lo preoccupava di più era che il rapitore, o i rapitori, sembravano agire senza motivo: colpivano sempre uomini e donne poveri, che non potevano fruttare loro alcun guadagno. Dietro quegli avvenimenti avrebbe potuto nascondersi la mano del Maligno.
Nei giorni a seguire, Alkerion visitò molti dei luoghi ove erano state rinvenute tracce, interrogò molti degli amici e conoscenti degli scomparsi, per lo più ladri, prostitute e vagabondi, ma non venne a capo di nulla. Si convinceva sempre di più che tutto questo non fosse frutto di una mente comune.
Poi, una notte, un uomo riuscì a sfuggire ad un agguato. I rapitori erano creature che ricordavano esseri umani, ma erano morte. Tra loro riconobbe uno degli scomparsi: aveva dei tagli e delle ustioni su tutto il corpo, dalle ferite non perdeva sangue, e il suo volto era scarno e scavato; era solo l’ombra della persona che era stata, solo corpo privo della propria anima. L’uomo fuggì terrorizzato, inseguito dalle creature. Dopo aver percorso molti vicoli, arrivò nei pressi del monastero. Le creature si arrestarono innanzi quelle mura consacrate. L’uomo si rifugiò in chiesa, quindi, spossato per la corsa e per l’orrore di quella notte, svenne. Lì i monaci lo trovarono, e lo fecero rinsavire con un preparato di erbe medicinali. L’uomo, provato ma ancora lucido, parlò con l’Inquisitore. Alkerion divenne certo che il nemico era l’ancestrale Avversario della Luce. Ora avrebbe dovuto scoprire chi era il suo rifugio, per poi distruggerlo.
La notte successiva rimase a lungo sveglio tentando di incastonare i pezzi di quel mosaico, tentando di dare soluzione all’arcano. Solo un demone piuttosto potente era in grado di far possedere i corpi dei morti. Ed era necessario che qualcuno l’avesse evocato.
Si mise a meditare ed a invocare il Signore della Luce, il Sublime Creatore, affinché Egli lo illuminasse. Il sonno lo sorprese. Fu divorato dagli incubi. Urla di dolore, di uomini e di donne. Corpi storpiati. Volti sfigurati. Pianto e stridore di denti. Tra tutti, il volto di una donna, che gridava disperata la sua richiesta di aiuto. Una stanza piena di arazzi. Profumi di essenze femminili. Una grande porta intarsiata. Il castello di Lord Samuel. Di nuovo quel volto, quella donna che gridava e lottava contro una forza che teneva prigioniera la sua anima.
Alkerion si ridestò madido di sudore. Non era la prima volta che aveva simili visioni. A volte erano solo incubi provocati dall’Avversario per scoraggiarlo, ma non questa volta. Quel sogno era un’illuminazione mandata dal Supremo.
Si rivestì in fretta, indossando la cotta di maglia, prese la sua mazza benedetta e si recò immediatamente al castello. Le guardie all’ingresso, sorprese, inizialmente erano incerte se farlo passare in quella ora tarda, ma l’Inquisitore, in quel momento, non chiedeva, comandava. E quando un Sacro Inquisitore della Luce dava un ordine con quella risolutezza, non era ne’ saggio ne’ prudente disobbedirgli.
Seguito dalle due guardie, dopo aver ordinato loro di fare silenzio e di non obiettare, camminò per i corridoi in cerca della stanza. Varcò con sicurezza numerose soglie e percorse numerosi corridoi, guidato da una forza invisibile: nella sua mente riecheggiava ancora il grido disperato della donna del sogno. Trovò la porta intarsiata veduta nella visione . Comandò alle guardie di lasciarlo solo, ed esse obbedirono: Nessuno doveva vedere ne’ sentire quello che stava per fare. Aprì la porta. All’interno della stanza, il respiro affannato di una donna, distesa su un grande letto a baldacchino, la luce notturna che filtrava dalle finestre aperte, un’aria gelida che percorreva la stanza. Alkerion chiuse la porta e la bloccò col chiavistello. Si avvicinò al letto, muovendosi cauto. Scoprì il baldacchino. Era Ariann, la figlia di Lord Samuel Denron, ragazza dall’aspetto incantevole, dalla personalità vivace e dalla mente brillante, secondo la descrizione che ne aveva avuto. L’aspetto non la tradiva, ma il suo respiro era affannato, il suo muoversi febbrile, il suo contorcersi innaturale. Poi, d’un tratto, aprì gli occhi. Lo fissò a lungo, sorridendo, per niente spaventata da una presenza straniera in quell’ora notturna. Si alzò sotto il suo sguardo e si spogliò completamente, con movenze accuratamente studiate per sedurlo. Alkerion le impose il simbolo dei Tre Cerchi, e la donna si ritrasse, come abbagliata da una luce tanto forte da stordirla. L’Inquisitore iniziò a sussurrare un esorcismo. Udendo le prime parole, lo sguardo di Ariann si fece mostruoso, adirato, disperato. Dopo alcuni istanti, ella gli balzò addosso, mordendone la spalla e graffiandone il volto. Alkerion, con uno strattone la spinse via e la atterrò, mentre alzava il tono delle sue voce. La donna si alzò debolmente, l’essere che la controllava tentò un ultimo, disperato assalto, poichè la sua presa sulla ragazza stava infine cedendo. Balzò nuovamente verso l’inquisitore. Proprio in quel momento, però, risuonò nella stanza l’ordine secco di Alkerion, che intimava l’essere di liberare la donna. Ordine al quale questi non poteva più rifiutarsi di obbedire. La donna ebbe un mancamento, e l’inquisitore fu pronto nell’afferrarla per evitare che cadesse. Dietro di lei, un Succube. Il demone prese l’aspetto dapprima di una donna bellissima e sensuale. Aspetto che non distrasse minimamente l’Inquisitore. Il Succube tentò allora di fuggire via, ma un secondo, fermo, comando dell’Inquisitore lo bloccò. Ora il demone era a lui sottomesso totalmente, e non poteva fare a meno di obbedirgli. Lasciò la sua precedente forma, divenendo prima un uomo dalle perfette proporzioni, e rivelando poi il suo vero aspetto. Il suo corpo non era né di uomo ne di donna, ma un’orrenda mescolanza dei due; emanava un fetore di zolfo, e la sua pelle era quasi totalmente ustionata, perpetuo ricordo dell’Inferno da cui proveniva. Alkerion comandò di rivelargli quale demone lo avesse chiamato e quale era il motivo. Lo Spirito Maligno tentò di non rispondere, ma dovette poi cedere alla volontà del Sacro Inquisitore, rivelandogli tutto ciò che era ancora oscuro in quella storia.
Ad evocare Belial, Demone dell’Ira, era stato Gamdor, al quale un gruppo di briganti aveva massacrato la famiglia. L’odio, sentimento forte, capace di corrompere anche lo spirito più nobile, una volta esploso nel cuore, lo aveva accecato e reso incapace di distinguere il bene dal male, così egli aveva stretto un patto con il Demone. L’entità avrebbe dato lui il potere di trovare e uccidere i briganti. Ed egli mantenne la sua parola. Quando Gamdor si rese conto del potere di cui era stato dotato, fu completamente sedotto dal male. Si mise ad evocare dai corpi di coloro che aveva ucciso dei non morti, con quel piccolo gruppo iniziò a ripulire la città da quelli che per lui erano reietti, costante pericolo per l’ordine. I più fortunati venivano uccisi subito, gli altri catturati e portati alle prigioni. Lì venivano barbaramente torturati da Gamdor. A mano a mano che il male si impossessava di lui, prese a soddisfare ogni suo vizio evocando altri demoni, tra i quali il Succube che si era impossessato di Ariann, e divenendo sempre più schiavo del Maligno.
Prima di avventurarsi nella prigione, dove avrebbe trovato Gamdor, Alkerion indossò la sua pesante corazza e il suo scudo, ornato con i Tre Cerchi e la Stella, simbolo della sua Fede: contro Belial, un Demone Maggiore, c’era il rischio di dover affrontare un combattimento. Ed egli doveva combatterlo da solo, poiché nessuno avrebbe dovuto conoscere quali poteri poteva dare l’Avversario ai suoi adoratori, al prezzo della loro anima. Il potere è il mezzo di corruzione più usato dal Demonio, ed il solo conoscerlo era una grande tentazione per qualunque uomo.

Alkerion avanzava, deciso, tra gli oscuri meandri della prigione. Una delle creature fu lenta a cedere il passo, e un colpo di mazza bene assestato pose fine ai suoi tormenti.
L’Inquisitore varcò l’ultima soglia. Dietro di essa, il suo nemico. In piedi, con lo spadone imbracciato e le gambe divaricate, ben piantate al terreno in posizione di difesa; sembrava aspettarlo. Era alto circa un metro e novanta, ogni suo muscolo era contratto e pronto all’azione, ogni suo nervo teso. E, sul volto, un ghigno sin troppo sicuro di sé. Alkerion iniziò a sussurrare l’esorcismo. Sapeva bene che non avrebbe avuto lo stesso effetto avuto sulla donna, poiché ella lottava per la sua libertà, mentre Gamdor era l’evocatore, colui che di propria volontà si era fatto possedere. Finchè non avesse ucciso il suo corpo, non avrebbe potuto distruggere Belial.
All’udire l’esorcismo, il Demone si indebolì. Era per lui come una musica straziante, in grado di farlo impazzire, se non avesse avuto una grande resistenza. Gamdor si scagliò sull’inquisitore con un forte fendente di spadone. Alkerion doveva misurare la forza del nemico, è optò per una difesa totale con lo scudo. Il colpo dato fu talmente forte da farlo barcollare, e da spingerlo indietro di qualche passo. La possessione dava a Gamdor una forza terribile. Per un istante l’Inquisitore fu preso dallo sconforto. Per un solo istante.
Avanzò deciso, difendendosi con lo scudo, mentre la sua mente pregava la Luce di aiutarlo e le sue labbra urlavano le parole dell’esorcismo. Il suo braccio era teso, pronto a scagliare all’attacco la sua mazza, consacrata dal Concilio Degli Inquisitori. Essa rappresentava il suo scettro, la sua autorità, il suo ergersi a giudice e a boia del malvagio. Il Demone colpì una seconda volta, ancora più veementemente, urlando il dolore che l’esorcismo gli provocava. Alkerion era pronto. Parò l’attacco con il suo pesante scudo, quasi spezzandosi il braccio per la potenza dell’urto, quindi avanzò con il piede destro per dare ulteriore slancio alla sua arma, e vibrò il colpo. Esso andò a segno, spezzando la spalla del nemico. Al dolore provocato dall’esorcismo, si aggiungeva per il Demone un dolore più fisico, ma insieme non bastarono a farlo arretrare. Con una giravolta, colpì il petto dell’Inquisitore. Se non avesse avuto la corazza, la ferita provocata l’avrebbe ucciso. I due si concedettero qualche istante di tregua.
L’uno studiava l’altro, l’uno studiava la mossa seguente, che avrebbe potuto risolvere lo scontro. Il Demone aveva una spalla spezzata, e in più l’esorcismo lo indeboliva. Alkerion aveva subito due pesanti colpi. Non avrebbe più potuto usare il suo scudo con la stessa forza. Un altro colpo così forte, forse due, e il braccio avrebbe ceduto. Il dolore provocato lo avrebbe reso incapace di reagire agli attacchi successivi, e sarebbe stato sconfitto. Decise di liberarsi dello scudo, gettandolo a terra. D’ora in avanti avrebbe dovuto schivare l’arma del Demone, e il pesante metallo lo avrebbe soltanto impacciato.
La creatura lanciò l’ultimo assalto. Balzò in avanti, roteando con furia la lama dal basso verso l’alto. Alkerion tentò di schivare, e riuscì per un soffio. Era il momento che attendeva. Mentre il nemico frenava lo slancio della sua arma, per poi calarla nuovamente sull’Inquisitore, Alkerion, con un rapido movimento, vibrò un colpo al braccio sano dell’avversario, che si frantumò. Il demone lasciò cadere lo spadone urlando per il dolore. Aveva perso l’uso di entrambi gli arti, non avrebbe più potuto difendersi dai successivi assalti. L’Inquisitore sferrò un ultimo, potente attacco contro la testa dell’uomo. Gamdor spirò. Poi alzò ancora il tono della voce. L’esorcismo risuonava in tutta la sala e oltre, e si sentivano ormai anche le urla di dolore delle creature non morte, insieme a quelle del Demone dell’Ira. Belial uscì fuori dal corpo inerte di Gamdor. Il volto del demone era tempestato da una miriade di piccole corna, con due più grandi che si ergevano sopra la testa. Non aveva labbra, mostrava i denti acuminati in un costante ghigno malefico. Era molto alto, e la sua grandezza era di molto accentuata dalle grandi ali membranose che gli spuntavano dalla schiena. Ma nonostante il suo imponente aspetto, nonostante il suo ghigno sicuro, era uscito dallo scontro sconfitto. Terrorizzato, iniziò ad offrire all’Inquisitore tutto quello che un comune uomo poteva desiderare: ricchezze, conoscenze, potere. Ma la fede di Alkerion era grande e ferma, nessuno lo avrebbe mai potuto corrompere. Pronunciata l’ultima parola dell’esorcismo, dissolse il Demone nel nulla, ricacciandolo via da questo mondo.
Alkerion riprese lo scudo. Di ogni essere che occupava la prigione, non era rimasta alcuna traccia, solo corpi morti. Ripercorse i corridoi dirigendosi verso l’uscita, segnando sulla fronte di ogni cadavere i Sacri Cerchi: d’ora innanzi, non avrebbero potuto più essere posseduti da nessuno spirito malvagio.
Ora non rimaneva che spiegare tutto, o quasi tutto, a Lord Samuel, e poi fare rapporto al Concilio dell’Inquisizione. La lotta era ormai finita.

di andrea vinci

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“Le Prigioni di Denron“, di Andrea Vinci, è pubblicato sotto una
Licenza Creative Commons.

Commenti»

1. Chiara - marzo 7, 2007

Il racconto nel complesso non mi è piaciuto. Ho voluto leggerlo una seconda volta, pensando che così avrei anche potuto darti un’opinione più vasta e precisa, e devo dire che in seconda lettura acquista un pò di punti, anche se ha molte mancanze. Ho visto tre cose buone: la prima è ovviamente la capacità linguistica, ma sono certa di non dirti niente di nuovo; la seconda è la capacità di rendere credibile una situazione. Mi spiego meglio: a me viene difficile a volte risultare credibile quando descrivo certe cose, perchè descrivendo prima o poi qualcosa che non si è vissuto o non si conosce bene, si rischia di diventare banali e snocciolare luoghi comuni. Da questo punto di vista il racconto va bene, è credibile e non fa storcere il naso. La terza cosa che ho trovato buona è una cosa che a me viene difficile fare a volte: star bene dietro alla storia. Tu sembra che invece avevi le idee chiare e la storia si è svolta con ordine e coerenza dall’inizio alla fine, anche troppo! Questo per dire che il motivo per cui non mi è piaciuto il racconto è prprio che c’è solo la storia. Su Alkerion per esempio dici molto poco, parli della sua fede che era grande e ferma e della sua incorruttibilità, ma sono solo cenni. Prendi per esempio l’inizio: Alkerion è nella prigione, procede con passo fermo e cadenzato e osserva tutti con attenzione. Ora immagina che sia un film…se lo fosse, avremmo l’inquadratura del viso del Sacro Inquisitore della Luce, e sapremmo già molto di lui vedendo in che modo guarda tutti. Per quello che tu hai scritto, potrebbe anche sorridere, o guardare tutti con disprezzo, o essere impassibile. Hai lasciato troppo all’immaginazione, e così il personaggio ha perso corpo nonostante si intuisce che sia una persona con molto potere e con un ruolo molto importante. Certo, cosa inserire in un racconto lo decide chi scrive, e tutto dipende dallo stile del narratore, ma anche se la storia è buona (e quello dipende dai gusti), non basta; raccontare i fatti è roba da giornalisti! Quello che rende speciale uno scrittore è il suo punto di vista, è come vede il mondo. Io sono certa che tu non vedi le cose con il distacco che sembri aver messo in “Le prigioni”, perchè in “Il furto” si vede già una notevole differenza. Insomma manca la caratterizzazione dei personaggi sopratutto, penso che quella sia necessaria, il resto dipende dallo stile. Un’ultima cosa: hai cambiato il titolo??? Prima non era: “Leprigioni di Denron”? Se è così, io tornerei al titolo di prima, era più bello.

2. andrea - marzo 7, 2007

Grazie per il commento, Chiara. Approvo in pieno tutto quello che hai scritto. In effetti questo è stato il mio primo racconto. Credo di aver messo l’anima per ideare un personaggio che, in un contesto da gioco di ruolo, funzionava che è una meraviglia. Anche ideare la storia mi ha preso parecchio tempo. Però alla fine ho scritto quello che hai letto, un brutto incrocio tra un soggetto e un racconto. Figurati che, ora non piace neanche a me. Lo ho pubblicato su questo, solo per ricordarmi degli errori fatti in questa prima prova. E spero di essere “cresciuto” in seguito con gli altri racconti…

3. poetAstro - gennaio 11, 2008

Belial, “bel” nome. “Bel”: sai perche’ ci suona “Diavolo” (cfr Bel-zebu’)? Perche’ e’ il nome semitico che nell’antichita’ si usava in tutto il Vicino Oriente per designare il dio, il Signore. Bel e’ Dio. Il Dio degli “altri” pero’… e’ per questo che si e’ prestato ad essere “demonizzato”. Ma “Bel” era buono, era il Padre, in genere definito “buon pastore”. Si occupava del suo popolo con l’amore che ha il pastore per le sue greggi. E forse assomigliava un po’ troppo al Padre dei cristiani, forse era proprio lui… senza “forse”, caro Andrea, la concezione della nostra divinita’ deriva direttamente da quella ebraica (antico testamente) che deriva direttamente da quella vicino orientale. Nessuno si e’ inventato niente. Vallo a dire alla Chiesa (che pur lo sa bene) che il suo Padre non e’ tanto originale! No no,il notro Padre non e’ solo originale ma e’ anche “l’originale” cioe’ quello vero, quello autentico, la Verita’. E questa Verita’ ce l’abbiamo noi. E questa Verita’ gli altri non ce l’anno. La Chiesa ha fatto cosi’. La Chiesa e’ fatta cosi. Il modo di concettualizzare il male e il bene, e solo il modo di concettualizzare il male e il bene, non e’ il male e il bene. Tutto questo per dire, ecco, che e’ proprio il tema del tuo racconto ad esserelontano dalla mia sensibilita’ e dai miei gusti. Gli esorcismi… Ma tu lo sai quello che sta combinando OGGI sto nuovo papa, per “intensificare la lotta contro il male”? …e qui finisce lo mio spazio.

4. poetAstro - gennaio 11, 2008

No scusa, ma cosi’, compariva solo la critica. Invece il motivo per cui esprimo il mio sisappunto e’ proprio perche’ mi piace tantissimo come scrivi e mi sfotto che una mente come la tua si mette al servizio di quello che io concettualizzo come “maligno”… Dal punto di vista stilistico io attenuerei le critiche di Chiara, perche’ l’indugio eccessivo sulle descrizioni rispetto alleazioni e alla “storia” mi ha sempre annoiato molto. Come vedi, Andrea, non c’e’ un modo buono o no di scrivere ma dipente dai gusti. Quindi non fare troppo caso alle critiche. Soprattutto alle mie. Brutta razza i critici. Ti do un parere “infantile” e istintivo su come scrivi: mi piace moltissimo, mi attacca al testo, io che in genere odio la prosa…

5. andrea - gennaio 11, 2008

@poetAstro
(ti ho già fatto i complimenti per il nick?)
Grazie per il commento. Sono estremamente avido di considerazioni sul come e sul cosa scrivo, perchè permettono di migliorami.

L’ambientazione dell racconto è fantastica, ed in effetti è la stessa per i tre pubblicati fino ad ora. E’ ispirata molto vagamente al medioevo europeo, ed anche la figura dell’Inquisitore e della sua religione è ispirata alla Cristiana, nonostante se ne distacchi profondamente. L’unico riferimento reale al cattolocisimo risiede nella citazione delle 7 sette virtù, per il resto, in quasi tutte le religioni esistono entità “buone” (angeli, amesha spenta, valchirie) ed entità malvagie (diavoli, demoni) in contrapposizione e in lotta. E’ nella idea di bene universalmente riconosciuta (intendo quindi non necessariamente l’idea cattolica del bene, ma alcuni valori di base comuni) che Alkerion si vorrebbe muovere. La figura è ispirata all’inquisitore medievale, ma la religione, al contrario, vorrebbe ispirarsi al Mazdeismo, e la lotta, più che tra le forze del bene e del male, e tra “asha” e “druj” di natura zoroastriana.
Il nome Belial è solo per evocare il concetto di demone nelle nostre menti occidentali e pesantemente influenzate dal cristianesimo, e non vuole fare nessun riferimento a entità o idee di entità storicamente esistenti. In un racconto breve, nel mio primo racconto breve, non ho potuto raccontare completamente la religione che mi sono figurato, ne’ il mondo, le culture e il contesto nei quali vivono i miei personaggi.

Sullo stile, sono molto contento che ti sia “attaccato” al testo, credo sia il miglior complimento che potessi ricevere. Però devo dirti che, se dovessi giudicare da solo quello che ho scritto a distanza di oramai qualche anno, ti direi che proprio lo stile non è dei migliori…, ti invito, se puoi, a leggere gli altri miei testi, dove credo di avere fatto meglio!

Grazie ancora poetAstro!!!!

6. poetAstro - gennaio 14, 2008

Ma naturalmente ho gia’ letto tutti i tuoi racconti, Cuggio (nome in codice criptato maleficamente con cui esercito influenze magichhe sui miei interlocutori!). In questi giorni sto affondando nella mm… marea dei miei impegni. Ma presto riceverai i miei commenti puntuali (positivissimi e proposititi: non ti allarmare!) su tutte le tue opere…


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